Sono più giovani, più competitivi, meno esperti e con carriere più lunghe. Lo rivela uno studio di LaVoce.info
Anche in politica, si sa, esistono i “figli di”.
Per valutare se la loro presenza abbia avuto ricadute positive sul benessere collettivo, laVoce.info ha raccolto i dati su tutti i politici comunali eletti in Italia dal 1985. Per capire se un sindaco è un “figlio d’arte” o no, il portale ha considerato come dinastici tutti quelli che avevano lo stesso cognome di un politico eletto, in passato, nel medesimo Comune. Per limitare i casi di omonimie, sono stati selezionati solo coloro che condividevano un cognome “raro”. In altre parole, non sono stati presi in considerazione i politici con cognomi molto diffusi in una certa provincia: per esempio, Brambilla a Milano o Esposito a Napoli. Questo ha ridotto, di oltre il 50%, il campione in esame.
Il processo ha consentito «di identificare – scrive Gianmarco Daniele – come dinastici tra l’8 e il 15% dei sindaci italiani, a seconda del numero di cognomi “rari” inclusi nell’analisi. In valore assoluto, si tratta di un numero tra i 3.700 e i 7mila sindaci (su 47mila). I sindaci dinastici sono presenti in tutte le aree del Paese: le uniche zone con una bassa presenza sono le regioni “rosse” (Emilia Romagna, Toscana e Marche) e alcune zone del Lombardo-Veneto».
Confrontando due candidati simili per livello d’istruzione, età, sesso e partito, è emerso che i “figli d’arte” sono più giovani, più competitivi e con carriere politiche più lunghe, nonostante siano meno eserti. Ma hanno governato meglio?
«I sindaci “figli di” – prosegue Daniele – spendono molto di più prima delle elezioni (tra gli 80 e i 150 euro per abitante), soprattutto quando possono ricandidarsi per un secondo mandato e quando affrontano un candidato (non dinastico) particolarmente competitivo. Si tratta di aumento nella spesa totale dovuto a una forte crescita di quella in conto capitale. Viene finanziata con maggiori trasferimenti regionali o nazionali e sembra indicare, quindi, una maggiore capacità di manipolare la spesa pubblica quando è più conveniente: prima delle elezioni, quando gli elettori sono più attenti e recettivi».
Al di là del trend di spesa, se si considerano altri indicatori, come la crescita economica, misurata dalla base imponibile del settore privato, o l’efficienza del Comune, misurata dalla capacità di ripagare i debiti per tempo e dalla capacità di riscuotere le tasse e le imposte locali, secondo laVoce.Info, «i sindaci dinastici non sembrano governare né meglio né peggio degli altri». Conclusione: essere “figli di” in politica è utile a sé stessi, non ai cittadini.