Era destinato al Colle, gli è toccato Palazzo Ghigi
La nuova sfida. Mario Draghi, l’italiano che ha salvato l’Europa, dovrà ora essere in grado, con la sua autorevolezza, di coagulare una solida maggioranza parlamentare. Il suo nome ha attraversato fin dall'inizio il confronto e il dibattito che si è aperto con le dimissioni di Giuseppe Conte, tanto da essere considerato l’unico in grado di sciogliere la matassa che sembra aver imbrigliato la politica. Per il presidente della Repubblica Sergio Mattarella è l’ultima carta prima delle elezioni per affrontare le difficoltà sanitarie, sociali, economiche provocate dalla pandemia da Covid 19. E per vincere la partita del “Recovery plan”. Ripercorriamo la sua lunga carriera di “civil servant”, in Italia e all’estero.
Dal Tesoro a Goldman Sachs
Laurea alla Sapienza e master al Mit di Boston, la carriera di Draghi, nato a Roma nel 1947, inizia negli anni Ottanta in piena Prima Repubblica. Allievo prima di Federico Caffè e poi di Beniamino Andreatta, da giovane e brillante economista, nel 1983, è scelto come consigliere di Giovanni Goria, ministro del Tesoro nel primo Governo Craxi; diviene poi direttore esecutivo della Banca mondiale. Rientrato in Italia, si sposta, ad appena 44 anni, sulla prestigiosa poltrona di direttore generale del Tesoro, quando ministro era Guido Carli. Da questa posizione contribuisce a gestire gli sconvolgimenti economici che negli anni Novanta hanno preceduto quelli politici: la crisi della lira del settembre 1992 e poi la stagione delle privatizzazioni di cui fu sicuramente il principale regista operativo. A Via XX Settembre rimane con vari ministri, ma il sodalizio più significativo, sia sotto il profilo professionale che umano, è quello con Carlo Azeglio Ciampi, poi destinato a trasferirsi al Quirinale. L’addio a questo incarico arriva nel 2001, anno in cui con il governo di Silvio Berlusconi inizia una nuova fase. Draghi lascia spiegando di voler tornare all’insegnamento. Ma, dopo pochi mesi ad Harvard, accetta l’offerta della Goldman Sachs, per la quale diventerà vicepresidente per l’Europa.
Dalla Banca d’Italia alla Bce
Il ritorno a un ruolo istituzionale a fine 2005 è la risposta ad una chiamata: la Banca d’Italia ha vissuto mesi turbolenti e il suo insediamento da governatore al posto di Antonio Fazio ha anche una valenza affettiva: a Via Nazionale aveva lavorato prima della guerra il padre e il giovane Draghi l’aveva frequentata da giovane studioso. Durante il suo mandato, l’Italia e il mondo entrano nella grande crisi del 2008, che nel 2011 porta il nostro Paese sull’orlo del baratro finanziario. In quella torrida estate, è già il presidente designato della Bce e in quella veste caldeggia insieme all’uscente Jean-Claude Trichet, con una famosa lettera, le misure di austerità poi attuate da Mario Monti alla caduta del governo Berlusconi. Quando, poi, la tempesta finanziaria, che travolge la Grecia, rischia di far cadere l’intero edificio dell’euro, "Super Mario" entra nella storia non solo economica con il suo celebre «Whatever it takes!» («Qualsiasi cosa!»): il 26 luglio 2012, parlando a Londra, alla Global investment conference, convince i mercati finanziari che la Bce sarebbe intervenuta con tutte le sue forze per proteggere la moneta unica. Le tensioni iniziano a rientrare, quando Francoforte avvia davvero il suo programma di acquisto di titoli: un passaggio che evidenzia l’abilità dell’economista romano anche sul terreno della mediazione. Buona parte del mondo politico e finanziario tedesco non vede con favore il protagonismo della Banca centrale, ma Draghi riesce a formare un asse con Angela Merkel, argomentando che l’utilizzo del bazooka per rianimare l’asfittica inflazione continentale è coerente con il mandato di Francoforte. Quelli successivi saranno comunque anni impegnativi: l’Europa si salva dalla dissoluzione, ma fatica ad avviarsi sulla strada di una crescita stabile e credibile. Il presidente della Bce diventa sempre di più un punto di riferimento: le sue parole nelle conferenze stampa che seguono le riunioni del Consiglio direttivo vengono analizzate e soppesate dagli investitori, a caccia di qualche indizio decisivo sulle future mosse.
Il ritorno in Italia e l’incarico da premier
Quando il mandato a Francoforte termina, Draghi rientra in Italia e inizia una vita lontana dai riflettori. «Il mio futuro? Chiedete a mia moglie», risponde ai giornalisti lasciando la Bce alla guida di Christine Lagarde. È impossibile negare, tuttavia, che, pure prima dell’attuale crisi politica, in molti pensano a lui come il possibile successore di Mattarella, visto che l’inquilino del Colle fa sapere di non pensare a un nuovo settennato. Defilatissimo rispetto alla politica, “Super Mario” ha la capacità di mantenere grande equilibrio, senza nascondere la sua opinione. Rompe il silenzio a fine marzo dell’anno scorso, a pandemia ormai esplosa, con un articolo sul Financial Times, con cui invita i governi a fare debito per salvare a tutti i costi l’economia. A dicembre, un nuovo intervento pubblico, nella veste di membro del Gruppo dei trenta (“think tank” tra istituzioni pubbliche, aziende private e mondo accademico): «La sostenibilità del debito pubblico sarà giudicata sulla base della crescita e, quindi, anche da come verranno spese le risorse di “Next Generation Eu”. Se saranno sprecate, il debito alla fine diventerà insostenibile perché i progetti finanziati non produrranno crescita». Il monito oggi appare in piena sintonia con l’urgenza e i timori espressi da Mattarella. Ora quella ricetta toccherà a lui attuarla. O, almeno, provarci.
Claudio Lombardi