Il saggio dell’ex ministro presentato a Confindustria
Sospeso con il caffè, a Napoli. Sospeso come un ponte, che unisce spende diverse. Sospeso come il diario di un ex ministro, tra instabilità, incompiutezza e speranza. Massimo Bray, direttore generale dell’Istituto Treccani, ha condensato i suoi “lunghissimi e brevissimi” dieci mesi, dal 28 aprile 2013 al 22 febbraio 2014, al Ministero dei Beni culturali, nel saggio “Alla voce Cultura”, edito da Manni. Un’opera sospesa, per ammissione dell’autore, perché parla di una vicenda umana e politica che è nata e si è conclusa con tempi convulsi, frenetici, erano gli anni del Governo Letta; e perché è stata scritta in modo estemporaneo, prendendo spunto da suggestioni e situazioni contingenti, tra il pubblico e il privato. Ma è sospesa soprattutto perché porta in sé la speranza che ciò che ha vissuto e raccontato non vada perduto, a cominciare da quella «comunità che crede nella capacità salvifica della cultura».
La tappa a Caserta
Bray, in giro per l’Italia, il 10 febbraio, ha presentato il libro a Caserta, nel salone di Confindustria, inaugurando una serie di iniziative volute dal presidente Gianluigi Traettino per celebrare i 75 anni della fondazione dell’Unione degli industriali della provincia. Moderato dalla giornalista Nadia Verdile e sollecitato dalle domande di Maria Luisa Chirico, Direttrice del dipartimento di Lettere e beni Culturali dell’Università “Luigi Vanvitelli”, ha spiegato perché la cultura dovrebbe essere centrale nella vita politica e sociale in un’epoca di grandi trasformazioni: «Per alimentare – ha dichiarato – la conoscenza come presupposto per la condivisione di valori e la nascita di nuove comunità di cittadini consapevoli; per tutelare il patrimonio italiano, memoria della nostra storia e chiave del nostro futuro; per promuovere nuovi modelli di partecipazione e democrazia e valorizzare la cooperazione internazionale come strumento di dialogo e di pace, a partire dal Mediterraneo». La riflessione su questi temi è passata attraverso quei dieci mesi da ministro, con le missioni in Iran, Cile, Giordania e Palestina, nel quadro di una diplomazia culturale tesa a rinsaldare i rapporti tra i popoli in un incontro tra civiltà, capace, in potenza, di creare nuovi quadri geopolitici, a cominciare dal Mediterraneo; con i viaggi in Italia (Pompei, Sibari, la Reggia di Caserta e quella “riemersa” grazie a lui di Carditello, i Bronzi di Riace, Taranto, la Notte della Taranta. E attraverso l’esperienza da presidente del Salone del libro di Torino, che continua tuttora.
Il Bray-pensiero
«Durante il mio ministero ho potuto scorgere come un gran numero di donne e di uomini del nostro straordinario Paese abbia voglia di cambiare la realtà. Incontrando il mondo delle associazioni, del volontariato, ma anche chi lavora con passione e competenza nelle università, nei centri di ricerca e nella pubblica amministrazione, intuivo che fosse necessario ricostruire quel senso di comunità che abbiamo smarrito in favore di individualismi e di egoismi che mettono in discussione ogni forma di solidarietà. L’elemento principale che mi pare sia venuto meno in questi ultimi anni è la capacità di avere una visione, di progettare il futuro con lungimiranza, superando, per il bene della collettività, le parzialità e i contrasti. La contingenza delle scelte, unita alla crescente approssimazione del linguaggio politico e alla diffusione indiscriminata, soprattutto attraverso la rete, di fake news, di notizie parziali, alterate, decontestualizzate e usate per catalizzare l’opinione pubblica estremizzando i concetti fino a giungere all’insulto e alla diffamazione sono aspetti palesi dell’impoverimento e della polarizzazione del dibattito politico, che inevitabilmente si riverberano sull'intero corpo sociale, generando insicurezza, insoddisfazione, sfiducia verso le istituzioni e la partecipazione alla vita civile».
L’opera
“Alla voce Cultura” (224 pp, 16 euro) racchiude, già nel titolo, la duplice, e profonda, natura di Bray: perché, dismessi i panni del ministro, ha rinunciato pure, ed è una notizia clamorosa di questi tempi, alla sua carica di deputato per tornare a occuparsi a tempo pieno dell’istituzione culturale nella quale si è formato e per la quale non si stanca di combattere, innovare, pensare: la Treccani. «Alla voce Cultura», proprio come se fosse un lemma, Bray non ha voluto rinunciare. E il suo diario non fa altro che rafforzare la sua irriducibile diversità: un integralista, instancabile fino allo stremo. Ma con il sorriso. Per taluni, la caratteristica migliore per immaginare un ritorno in politica, magari nelle vesti da premier.
Claudio Lombardi